Eccoci qui, 25 agosto 2020. Mi ritrovo qui in questa sera di fine estate, dopo aver ripreso a lavorare, da solo. Moglie e figlia a godersi qualche giorno di relax, ed io qui, dopo aver finito di sparecchiare, dopo un pomeriggio non tanto interessante, il cui apice è stato segnato da un’abbondante ora di studio al pianoforte, suonando alcuni preludi e fughe dal Clavicembalo Ben Temperato di J.S. Bach.
La temperatura in casa è ancora abbastanza calda, ma fuori, da ieri, c’è un’aria piacevole che, dopo il caldo afoso degli ultimi giorni, sembra davvero voler segnare il termine della stagione calda.
Fine estate, dicevamo. Anno 2020. L’anno forse peggiore a memoria mia. E non soltanto mia. L’anno più assurdo, in cui sono venute fuori, con la scusa di una finta pandemia, tutti i lati peggiori della nostra politica, a livello globale e, soprattutto, dei nostri modelli economici che, troppo a lungo, abbiamo tollerato e su cui ormai possiamo influire ben poco.
Una parte di popolazione completamente succube di questa infezione che ormai non crea più neanche infetti o malati.
Uno schifo mediatico peggiore di quello sull’11 Settembre e sulle varie guerre ai terroristi islamici che, stranamente, sono spariti dalla circolazione… probabilmente anche loro ipocondriaci cronici con l’inutile mascherina chirurgica sulla bocca.
E mi ritrovo qui, nel silenzio, con i grilli e qualche cane che abbaia in lontananza a scrivere su questo mio blog che troppo spesso lascio indietro. Ma non ho più l’età per curare un sito web e nemmeno ci credo più a questa tecnologia per cui ho tanto sudato in passato, rendendomi conto che poi, in fondo, è aria fritta.
Ma un pregio ce l’ha: quello di avvicinare le persone. Di enfatizzarne anche i difetti, in molti casi, di trovarci immersi in un mare di persone represse, livorose, faziose, impossibili. Eppure sono lì fuori. E tramite i “social” (che nome odioso che gli hanno dato, social network che radunano un fiume di asociali, di gente che per strada neanche si rivolge la parola, o eventualmente un sorriso, uno sguardo – social, ma solo a distanza, asociali ancora di più, con la scusa di un virus influenzale) conosciamo, in gran parte, anche nomi e cognomi e tanti altri dettagli.
Una prigione virtuale, che per tanti, soprattutto i più giovani, diventa l’unico senso che ha la vita, perché sono nati con questi strumenti in mano e per loro sarebbe assurdo un mondo senza connettività.
Noi che una volta avevamo la nostra cerchia ristretta di amici. E quelli più esuberanti riuscivano a farsi anche qualche amico al di fuori. E che se conoscevi qualcuno, magari una ragazza in vacanza, ti tenevi in contatto, con le stupende lettere scritte, via posta tradizionale. Attendevi settimane, a volte mesi prima di leggere una risposta, impaziente.
O, se avevi fortuna, la potevi sentire qualche volta al telefono, fisso. Ma costava, quindi si poteva fare soltanto ogni tanto.
Questi mezzi hanno accorciato le distanze, hanno eliminato le attese, hanno invaso la nostra privacy. Ma ci hanno anche permesso di conoscere persone che magari non avremmo mai avuto modo di conoscere. O di ritrovare persone che non sentivamo da decenni.
No, non è che sia per forza tutto bello e positivo.
Ma in un periodo come questo è stato comunque un mezzo potente, nonostante ne abbiamo assaggiato la parte peggiore e ne abbiamo visto i limiti, quei limiti che credevamo non potessero esistere, invece in tanti li hanno invocati, una volta inquinato anche questo mondo virtuale, che una volta era per pochi ed era simbolo di libertà assoluta.
Ci ha fatto conoscere persone che la pensano come noi, ha creato unità in mezzo alla divisione fatta di tanti uniformati che accettano tutto ciò che gli viene propinato. Una rete oltre la massa.
Ed in una sera così, silenziosa, calda, solitaria, di fine estate, da un lato si avverte quel senso di abbandono, quando non senti per un po’ persone che, pur magari non conoscendole, ti danno quel senso di tranquillità durante il giorno, ed un po’ di malinconia mista a quella specie di “magone”, quella sensazione che non sai classificare… Forse, in certi momenti, anche una specie di “farfalle nello stomaco”, perché certe persone non vorresti che fossero solo virtuali, talmente si è vicini nel modo di vedere il mondo…
Purtroppo non so come finirà questa storia… La logica direbbe che siamo soltanto all’inizio di una pessima trama. La speranza vuole che succeda qualcosa che rimetterà in ordine le cose.
Abbiamo dovuto rinunciare a molto in questi mesi, e per molto s’intende anche vera e propria vita. Lavoro. Amicizie. Affetti. Viaggi.
Io ho perso molto, a livello lavorativo ed economico.
Ma ho ancora fatto un investimento, come buon auspicio per una ripresa della vita.
Spero che se qualcuno s’imbatterà in queste mie parole possa condividerne il senso.
Siamo in guerra e noi siamo i guerrieri. Ma siamo guerrieri dentro, in alcuni casi, e proteggiamo la parte di noi che ripudia la guerra e vuole soltanto la pace.
Alla prossima puntata…!
Riflessioni di fine estate
25 Agosto 2020
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